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FORMEDIL



 

Analisi Valutativa

Premessa
Obiettivo
Aree d' intervento
Conclusioni

  Premessa

In seguito all’accordo siglato il 20 gennaio 1998 viene promosso dal Formedil il Progetto Sperimentale di Formazione per l’Apprendistato in Edilizia. La considerazione di base che dovrebbe essere ben chiara e ben evidenziata è quindi quella relativa al carattere di novità che distingue il Progetto Sperimentale per l’Industria delle Costruzioni.
Effettuare un’analisi sui risultati di un programma a lungo collaudato ci permetterebbe di partire col vantaggio di poter confrontare gli esiti già ottenuti dalle edizioni precedenti.
In questo caso, invece, ci troviamo di fronte a ciò che in gergo giornalistico viene definito un numero zero.
Partendo da questo presupposto, sarebbe forse meglio specificare che non è direttamente utile soffermarsi sui parametri globali meramente quantitativi. Questo, infatti, ci metterebbe nella condizione di rischiare di perdere gran parte del valore relativo a tutta l’iniziativa e alla sua natura di sviluppo e rivisitazione di un istituto che già in tempi ormai remoti, anche se seguendo criteri diversi, ha prodotto indubbi risultati.
L’azione più produttiva da svolgere sarà, pertanto, quella di valutare eccessi e difetti in progress, ovvero, il dosaggio nell’utilizzo delle risorse per le varie fasi e i vari momenti di svolgimento dei nuovi criteri. Ciò vale a dire di andare a scovare quelle variabili che per difetto sono state completamente ignorate o non sono state tenute in debito conto e quindi tentare di rivalutarle. Seguendo lo stesso tipo di ragionamento, evidenziare anche quelle che per eccesso hanno avuto un’esagerata pregnanza e si sono rivelate tali da dirigere la Sperimentazione proprio dove, una volta smarrita, non avrebbe fatto più registrare un ritorno.
Ovviamente, in una fase di start-up (implementazione) l’azione viene maggiormente rivolta alla soluzione di problemi quotidiani, i quali, sebbene l’esperienza ce ne fornisca già un certo sentore, si presentano come totalmente nuovi ed imprevisti e, proprio a causa di queste caratteristiche, ci complicano il procedere e ci distolgono dalla realizzazione degli obiettivi prefissati.
  Obiettivo

Tra le iniziative avviate dal Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale e con le modalità previste dall’art. 16 della Legge Treu (196/97), viene rilanciato l’Istituto dell’Apprendistato su tutto il territorio nazionale.
Ovviamente, l’iniziativa interessa vari settori dell’economia del nostro paese, ma vedremo di seguito che dei sei selezionati, quello dell’edilizia poteva beneficiare di alcuni vantaggi dovuti ad una sua propria organizzazione.
Come diretta conseguenza di quanto appena affermato, il Formedil promuove l’iniziativa per il settore di sua competenza attraverso un campione appartenente alla rete delle Scuole Edili. Una prima considerazione da fare è quella che deve tener conto delle nuove responsabilità e dei nuovi quesiti ai quali le Scuole Edili verranno chiamate a rispondere. Sembra perciò opportuno utilizzare una definizione di più ampio raggio che passi alla loro identificazione come Centri di Formazione per l’Edilizia.(C.d.F.) L’obiettivo principale che questi C.d.F. sono chiamati a perseguire è quello rivolto alla sperimentazione di un progetto che possa successivamente rappresentare un modello operativo a regime estensibile all’universo dei rimanenti C.d.F. per l’edilizia.
Per la realizzazione di quanto finora esposto, sono state individuate tre questioni che sintetizzano i nodi strategici da sciogliere.

1. Il ruolo e le prospettive dei C.d.F. per l’Edilizia e del Sistema Formedil che si impegnano ad elevare l’efficienza delle risorse e ad omogeneizzare verso l’alto la qualità delle attività.
2. Un maggior dialogo che favorisca il raccordo della formazione con la reale domanda di professionalità esercitata dal sistema impresa.
3. Il raccordo tra formazione e mercato del lavoro secondo le disposizioni previste dalla legge n° 196/97 (Treu).
 

Aree d'intervento

Per meglio coordinare una linea d’azione, che risultasse poi comune ad ogni Centro di Formazione dislocato sul territorio nazionale, si è pensato di condividere un elenco di Dieci Buone Prassi.
Una prima riflessione a questo proposito è quella diretta a questo elenco stesso. Cercando di valutare gli scostamenti o gli adattamenti operati in ogni singola realtà locale sarà possibile definire delle vere e proprie regole codificabili e da utilizzare in previsione di un sistema che impone un accreditamento dei Centri di Formazione. Infatti, salvo ulteriori modifiche o ripensamenti, esiste già, come vedremo pure di seguito, un termine previsto a livello nazionale per il 2003 che contempla l’argomento in questione.
E’ pertanto evidente che, strettamente collegato a quanto finora esposto, c’è un aspetto più volte emerso nel corso della Sperimentazione e ribadito in occasione dei vari tipi di confronto intercorsi tra i vari responsabili dei Centri di Formazione: il peso della importante diversificazione delle realtà sul territorio.
Già contemplato dalla Nona Buona Prassi (Il modello formativo si articola localmente), ciò che potrebbe sembrare un ostacolo per la omogeneizzazione dei percorsi e l’utilizzo dei materiali didattici viene altresì ad essere una delle maggiori fonti di ricchezza. Un approfondimento sul concetto di omogeneizzazione sembra doveroso dal momento che non deve essere frainteso con il termine omologazione. E’ importante sottolineare che laddove si presentino dei distretti o delle specializzazioni particolari, della loro valorizzazione ne potrà beneficiare il settore intero condividendole. Ne consegue che, come già riscontrabile in più di un’occasione, anche questa variabile, se adeguatamente stressata potrebbe risultare un indispensabile feed-back (ritorno) per il legislatore stesso, che potrà farne tesoro per le revisioni del caso.
Un’applicazione dell’articolazione a livello locale ci viene dalla testimonianza di due realtà. Rispettivamente da una del Nord e da una del Mezzogiorno. Ciò è risultato possibile per merito della variante prevista dall’art. 3 del D.M. 179/99 che prevede la possibilità di far fronte a determinate esigenze mediante la costruzione di percorsi formativi individuali.
Proprio come già anticipato, questa opzione viene tra l’altro incontro alle caratteristiche del settore che vengono determinate dalle differenze delle diverse imprese, dalla dislocazione dei cantieri, dalla loro peculiarità itinerante, così come dalle competenze e dai fabbisogni dell’apprendista stesso.
Molto spesso, in edilizia, siamo di fronte a quel gruppo tipologico d’impresa definito come “nomade” e, proprio per questo motivo, il Centro di Formazione viene promosso come punto fisso di riferimento utile in quelle facilitazioni territoriali come nel caso dell’accoglienza (e consolidamento della permanenza) dei corsisti.
Per assolvere a quanto contemplato nella Quinta Buona Prassi,(costruire una omogenea e affidabile formazione di base) ci si è affidati alla preparazione di moduli formativi (UFC/UdA).Il giudizio positivo, espresso dai responsabili delle varie scuole intervenute al Convegno di Matera del 20 giugno 2001, evidenzia la raggiunta soddisfazione di un bisogno quale era quello di potersi avvalere di “linee guida” ben definite su cui basare un’azione comune d’intervento. Poche sono le testimonianze che lamentano una sbilanciata attenzione nei riguardi di alcune professionalità specifiche a scapito di altre meno tenute in considerazione. Ciò però è anche utile a confermare il ventaglio di possibilità che già viene offerto ed eventualmente ad evidenziare le potenzialità di accrescimento della scelta nel settore. Quest’ultima annotazione risponde alla Buona Prassi n° 1 (formare per la carriera) perché va a dare una risposta a quello che potrebbero essere le reali aspirazioni del giovane apprendista fornendogli una vasta gamma sulla quale potersi misurare. Sempre a questo proposito, potrebbe risultare utile uno studio sull’analisi della domanda ed eventualmente una collaborazione tra i vari Centri di Formazione che facilitasse lo scambio e l’accoglienza dei giovani apprendisti. Sempre nell’ambito delle reali aspirazioni, un approfondimento lo meriterebbe il manifestarsi di un interessante fenomeno definito come “passerella” e cioè di migrazione dai Centri di Formazione Edile verso gli Istituti Tecnici per Geometri. Si potrebbe ipotizzare che lo stesso potrebbe verificarsi anche con una direzione inversa e quindi venire intesa come una richiesta di specializzazione su tematiche di particolare interesse. Ciò è quanto emerso in pochi ma significativi casi che, se adeguatamente valorizzati, potrebbero soddisfare quanto previsto dalla Decima Buona Prassi (Il modello formativo deve essere multiutenza).
Rimanendo sempre nell’ambito dei contenuti proposti dai Centri di F., una particolare attenzione deve essere rivolta al D.M. 179/99 che all’art.1 cita le quattro aree di contenuto. E’ evidente come viene a farsi sentire l’esigenza di una preparazione che sia capace di spaziare su temi che non riguardino solo ed esclusivamente competenze di pratiche tecnico-specialistiche.
L’auspicato “raccordo” con il Sistema d’Istruzione Pubblica viene agevolato da quanto viene considerato nell’art. 3 comma 2. Ricalcando appunto il modello proposto del Sistema stesso, si apre in primo luogo alla possibilità di ovviare ad una caratteristica peculiare del settore che viene definita come mobilità e sottolinea il carattere itinerante dei cantieri. (Si fa riferimento alla concreta possibilità di continuare a frequentare i corsi anche in un’altra Scuola Edile, qualora esigenze d’impresa od altro lo imponessero).
In secondo luogo, si porta nuovamente in discussione al cospetto delle Autorità competenti, l’opportunità di avvalersi della possibilità di rinviare il servizio militare o di una regolamentazione che sia funzionale al problema dell’interruzione del Patto formativo. E’ evidente, infatti, dai dati finora a disposizione, la massiccia perdita di iscrizioni per il secondo anno di corso ed il relativo mancato completamento del ciclo biennale. E’ comunque logico ritenere che, oltre alle due appena citate, molte altre siano le ipotesi riconducibili alla “caduta d’interesse” che non vedono il rinnovarsi della partecipazione al secondo anno.
Per esempio, una di queste è quella strettamente collegata alle disposizioni salariali.
Abbiamo visto come in alcune realtà, (vedi regioni a statuto speciale) la concorrenza di formule alternative per l’ingresso nel mondo del lavoro come Contratto di Formazione al Lavoro, Collaborazioni Saltuarie, Contratti a Tempo Determinato, Lavoro Temporaneo/Interinale, ecc. hanno penalizzato quello che è uno dei maggiori obiettivi del contratto d’Apprendistato e cioè quello di creare delle professionalità con profili di livello qualitativo avanzato ed indispensabili al mercato di riferimento. Va però evidenziato che alla luce della procedura di infrazione intentata dalla Comunità Europea nei confronti dell’Italia, l’istituto del Contratto di Formazione al Lavoro, causa la minore intensità di agevolazioni prevedibile e dovrebbe essere progressivamente soppiantato dal Contratto d’Apprendistato. In tal senso, bisogna però evidenziare come a livello di normazione contrattuale le OO. SS. siano ancora piuttosto restie ad agevolare la più ampia applicazione di contratti di tipo flessibile, riducendo attualmente le potenzialità che un istituto come l’Apprendistato può esprimere per le imprese e i lavoratori.
Qualche problema si riscontra nella gestione dell’inserimento lavorativo che fa riferimento alla Buona Prassi numero 3.
Anche i maggiori guadagni ottenibili da altre occupazioni a carattere stagionale e con remote possibilità di sviluppo e carriera si sono rivelate degli ottimi antagonisti al completamento del ciclo biennale. Si comincia il corso in attesa di qualcosa di meglio? O di immediatamente gratificante? Sorge qui un dubbio sulla durata e l’articolazione prevista per il ciclo che non incontra i ritmi degli iscritti.
In riferimento alla Buona Prassi n° 8 (Il modello formativo deve essere nazionale ed europeo) e considerata realizzabile la nascita di un sistema nazionale per la formazione d’Apprendistato, la questione stimolante riguarda l’apertura ad un riconoscimento delle competenze acquisite a livello europeo. E’ ormai evidente che attualmente l’emigrazione non è da intendersi più solo come quel fenomeno che interessa i confini della nostra nazione. Oggigiorno registriamo il continuo arrivo di basse professionalità provenienti da paesi extracomunitari che in alcuni casi utilizzano la nostra penisola come pista di lancio verso altri paesi europei. Assistiamo infatti a quello che potrebbe essere paragonato ad una prima fase di “rullaggio dei motori” al sud, una “rincorsa di affinamento” al nord ed un successivo “decollo” verso il paese dell’Unione Europea che nel dato momento storico offre maggiori opportunità.
E’ indiscutibile come, una regolamentazione per mezzo di un sistema di accreditamento comunitario dei Centri di F., che come abbiamo visto è peraltro già previsto per marzo 2003 a livello nazionale, ed una conseguente sistematizzazione di crediti formativi come quando si fa riferimento al Libretto formativo, contribuiscano a quanto accennato nella Buona Prassi n° 4 (Seguire la storia lavorativa dei giovani formati).
La recente comunicazione della Commissione Europea agli Stati membri richiama espressamente al confronto in materia di obiettivi per la competitività dell’Industria delle costruzioni. Inoltre, intraprendere iniziative di questo tipo contribuirebbe anche al conseguimento di effetti che interessano altri aspetti. Per esempio si potrebbe registrare:


un’influenza positiva sulle rappresentazioni sociali relative al settore
una facilitazione del rispetto delle norme vigenti, specialmente in materia di sicurezza
una regolamentazione dei flussi relativi all’impiego del personale (e conseguente “salute” delle imprese stesse)
una conseguente ricaduta positiva su fenomeni di devianza
una legittimazione delle imprese stesse.


Da non sottovalutare, inoltre, è il fatto che in un’organizzazione così concepita anche il contributo di cittadini non europei verrebbe ad acquisire un riconoscimento finora caratterizzato da sentimenti ambivalenti che ha più volte creato dissapori e disarmonie.

Secondo quanto finora esposto e sempre in un’ottica di comunione d’interessi tra le parti che interagiscono, le soluzioni per il conseguimento di buoni risultati vengono ora approcciati ad un livello più alto. Ecco che, quanto predisposto dal legislatore nell’agosto ’99 all’indirizzo delle imprese, viene aggiornato nel 28 febbraio 2000 con una componente chiave che va ad inserirsi nella relazione della triade Apprendista, Impresa e Centro di Formazione. Viene istituzionalizzato il ruolo del tutor aziendale.
Questa figura è la chiave di volta che viene chiamata ad assolvere dei fondamentali compiti di raccordo tra le tre parti. Soprattutto, sarà fondamentale la maniera in cui in più riprese dovrà gestire il giovane apprendista, il suo sviluppo e il patto tra quest’ultimo e chi fornisce la formazione in aula. Il suo intervento sarà principalmente rivolto alla massimizzazione della resa ed è da considerarsi decisivo nelle scelte di alternanza tra aula e cantiere. Un confronto costante con il tutor del Centro di Formazione sarà d’obbligo nell’organizzazione dei momenti formativi, nella loro durata, nella proposta dei vari moduli formativi, per tracciare un primo profilo di sviluppo di carriera e nella personalizzazione ad hoc qualora ne sorgesse l’esigenza. E’ evidente il peso e l’importanza di tale figura anche nella definizione delle Buone Prassi. Ma il maggior valore aggiunto se ne ricaverebbe sfruttandone le capacità relazionali. Infatti, il configurarsi di un ruolo con dei mandati precisi all’interno di un organismo interagente può arricchire le sinergie. Impresa e Centri di Formazione al momento di un confronto con OO.SS., EE.PP. ed EE.RR. mieterebbero maggiori risultati che si rifletterebbero anche nei riguardi delle restanti istituzioni. Si giungerebbe così con un più vasto consenso ed anche le figure così importanti, specialmente nel caso delle piccole imprese, come i Consulenti del Lavoro ed i Commercialisti, incentiverebbero la partecipazione e coronerebbero la trasformazione a regime del Progetto Sperimentale. Un aspetto non trascurabile ed adducibile alla figura di tutor aziendale è quello di garante per la costruzione di basi per l’utilizzo della formazione continua. Si può, infatti immaginare che risulti più agevole a chi opera direttamente e sul campo seguire i fabbisogni di professionalità durante lassi di tempo anche lunghi.
Un’esigenza sottolineata da alcune realtà locali che hanno trovato difficoltà nella promozione è appunto quella di voler dedicare uno spazio più rilevante alle strategie comunicative con l’esterno. A questo proposito, l’Isfol ci riferisce di ingenti risorse economiche già stanziate e da destinare.
Si potrebbe a questo proposito fare delle ipotesi su più di un prodotto che sia il frutto delle sinergie poc’anzi menzionate.
Sicuramente un certo beneficio sarebbe prevedibile dal rafforzamento della rete dei vari C.d.F., che in questo caso svolgerebbero anche compiti di Agenzie per la formazione. Per la promozione ci si potrebbe avvalere della condivisione a livello nazionale di un logo di appartenenza. Inoltre, un eventuale utilizzo mirato e ragionato dei mass-media, sia come supporto per la pubblicizzazione delle novità e dei vantaggi proposti dalla Riforma sull’Apprendistato, sia per una migliore qualità nell’intercettazione dei potenziali utenti del programma proposto, riserverebbe delle gradite sorprese. Considerando il destinatario del messaggio, e cioè il giovane apprendista, la collaborazione con i vari sportelli già presenti sul territorio (Informagiovani, Centri Territoriali Permanenti, CILO….) ed i luoghi di aggregazione giovanile come quelli solitamente adibiti per lo svago, potrebbero rivelarsi degli ottimi alleati per le strategie di marketing e comunicazione. Lo sviluppo di quest’area d’intervento, ci viene suggerita dai primi risultati ottenuti. E’ più che evidente la difficoltà dell’attivazione dei programmi formativi specialmente quelli rivolti all’indirizzo degli impiegati. Questa considerazione, se adeguatamente sommata a quella relativa alla presenza femminile nel settore, ci suggerisce un’interessante bacino d’utenza che ha già fatto valere i propri diritti imponendosi in altre culture atavicamente dominate e precluse dalla presenza maschile. C’è da considerare anche il paradosso che vede maggiormente flessibili ed adattabili, in termini di tempo, questo tipo di corsi rispetto a quello per operai. Sono infatti da tenere in debito conto le condizioni che predispongono all’apprendimento, intese anche come rispetto dei bioritmi e delle attività da svolgere nell’arco della giornata.

  Conclusioni

Tra le dieci Buone Pratiche una in particolare può essere considerata di matrice spiccatamente pragmatista. Si tratta, evidentemente, della numero sette (Centralità di costruire a regola d’arte) che punta l’indice sulla qualità e quindi sui risultati che l’intervento formativo, relativo al settore, dovrebbe produrre. Se condividiamo la posizione finora assunta nelle varie Aree d’Intervento, ci rendiamo conto che, pur trovandoci in presenza di un complesso e articolato iter che attraversa una catena di organizzazioni decisionali, sono in ultima istanza tre le figure coinvolte nella tappa finale esecutiva e quindi con le responsabilità più dirette sulla realizzazione dell’idea. Fondamentalmente abbiamo un Apprendista, un Formatore, un Imprenditore.
Poniamo a margine l’Apprendista, in quanto da considerarsi l’utente finale e delle tre la figura con le minori influenze decisionali.
Rimane pertanto da analizzare la relazione che viene ad instaurarsi tra l’entità formativa e quella imprenditoriale. Se attribuiamo alla prima il ruolo e le caratteristiche tipiche della consulenza, dovremmo riservare per la seconda quelle proprie della committenza. Andando ad approfondire, dovremmo convenire che la relazione tra “consulenza” e “committenza” è influenzata da loro proprie relazioni soggiacenti. Il prodotto della consulenza sarà quindi la risultante del rapporto di collaborazione instauratosi tra i vari Centri di Formazione e il Formedil. Per la committenza, invece, oltre al rapporto del tutor aziendale con la dirigenza della propria azienda, sarebbero utili degli incontri programmati che riunissero in sede plenaria i tutor aziendali. Questi ultimi, essendo i responsabili e i portatori della domanda, avrebbero così l’occasione per condividere esigenze comuni e formulare una richiesta d’intervento che soddisfi le reali volontà del mercato.