|
Aree d'intervento
Per meglio coordinare una linea d’azione,
che risultasse poi comune ad ogni Centro di Formazione dislocato
sul territorio nazionale, si è pensato di condividere un elenco
di Dieci Buone Prassi.
Una prima riflessione a questo proposito è quella diretta a questo
elenco stesso. Cercando di valutare gli scostamenti o gli adattamenti
operati in ogni singola realtà locale sarà possibile definire
delle vere e proprie regole codificabili e da utilizzare in previsione
di un sistema che impone un accreditamento dei Centri di Formazione.
Infatti, salvo ulteriori modifiche o ripensamenti, esiste già,
come vedremo pure di seguito, un termine previsto a livello nazionale
per il 2003 che contempla l’argomento in questione.
E’ pertanto evidente che, strettamente collegato a quanto finora
esposto, c’è un aspetto più volte emerso nel corso della Sperimentazione
e ribadito in occasione dei vari tipi di confronto intercorsi
tra i vari responsabili dei Centri di Formazione: il peso della
importante diversificazione delle realtà sul territorio.
Già contemplato dalla Nona Buona Prassi (Il modello formativo
si articola localmente), ciò che potrebbe sembrare un ostacolo
per la omogeneizzazione dei percorsi e l’utilizzo dei materiali
didattici viene altresì ad essere una delle maggiori fonti di
ricchezza. Un approfondimento sul concetto di omogeneizzazione
sembra doveroso dal momento che non deve essere frainteso con
il termine omologazione. E’ importante sottolineare che laddove
si presentino dei distretti o delle specializzazioni particolari,
della loro valorizzazione ne potrà beneficiare il settore intero
condividendole. Ne consegue che, come già riscontrabile in più
di un’occasione, anche questa variabile, se adeguatamente stressata
potrebbe risultare un indispensabile feed-back (ritorno) per il
legislatore stesso, che potrà farne tesoro per le revisioni del
caso.
Un’applicazione dell’articolazione a livello locale ci viene dalla
testimonianza di due realtà. Rispettivamente da una del Nord e
da una del Mezzogiorno. Ciò è risultato possibile per merito della
variante prevista dall’art. 3 del D.M. 179/99 che prevede la possibilità
di far fronte a determinate esigenze mediante la costruzione di
percorsi formativi individuali.
Proprio come già anticipato, questa opzione viene tra l’altro
incontro alle caratteristiche del settore che vengono determinate
dalle differenze delle diverse imprese, dalla dislocazione dei
cantieri, dalla loro peculiarità itinerante, così come dalle competenze
e dai fabbisogni dell’apprendista stesso.
Molto spesso, in edilizia, siamo di fronte a quel gruppo tipologico
d’impresa definito come “nomade” e, proprio per questo motivo,
il Centro di Formazione viene promosso come punto fisso di riferimento
utile in quelle facilitazioni territoriali come nel caso dell’accoglienza
(e consolidamento della permanenza) dei corsisti.
Per assolvere a quanto contemplato nella Quinta Buona Prassi,(costruire
una omogenea e affidabile formazione di base) ci si è affidati
alla preparazione di moduli formativi (UFC/UdA).Il giudizio positivo,
espresso dai responsabili delle varie scuole intervenute al Convegno
di Matera del 20 giugno 2001, evidenzia la raggiunta soddisfazione
di un bisogno quale era quello di potersi avvalere di “linee guida”
ben definite su cui basare un’azione comune d’intervento. Poche
sono le testimonianze che lamentano una sbilanciata attenzione
nei riguardi di alcune professionalità specifiche a scapito di
altre meno tenute in considerazione. Ciò però è anche utile a
confermare il ventaglio di possibilità che già viene offerto ed
eventualmente ad evidenziare le potenzialità di accrescimento
della scelta nel settore. Quest’ultima annotazione risponde alla
Buona Prassi n° 1 (formare per la carriera) perché va a dare una
risposta a quello che potrebbero essere le reali aspirazioni del
giovane apprendista fornendogli una vasta gamma sulla quale potersi
misurare. Sempre a questo proposito, potrebbe risultare utile
uno studio sull’analisi della domanda ed eventualmente una collaborazione
tra i vari Centri di Formazione che facilitasse lo scambio e l’accoglienza
dei giovani apprendisti. Sempre nell’ambito delle reali aspirazioni,
un approfondimento lo meriterebbe il manifestarsi di un interessante
fenomeno definito come “passerella” e cioè di migrazione dai Centri
di Formazione Edile verso gli Istituti Tecnici per Geometri. Si
potrebbe ipotizzare che lo stesso potrebbe verificarsi anche con
una direzione inversa e quindi venire intesa come una richiesta
di specializzazione su tematiche di particolare interesse. Ciò
è quanto emerso in pochi ma significativi casi che, se adeguatamente
valorizzati, potrebbero soddisfare quanto previsto dalla Decima
Buona Prassi (Il modello formativo deve essere multiutenza).
Rimanendo sempre nell’ambito dei contenuti proposti dai Centri
di F., una particolare attenzione deve essere rivolta al D.M.
179/99 che all’art.1 cita le quattro aree di contenuto. E’ evidente
come viene a farsi sentire l’esigenza di una preparazione che
sia capace di spaziare su temi che non riguardino solo ed esclusivamente
competenze di pratiche tecnico-specialistiche.
L’auspicato “raccordo” con il Sistema d’Istruzione Pubblica viene
agevolato da quanto viene considerato nell’art. 3 comma 2. Ricalcando
appunto il modello proposto del Sistema stesso, si apre in primo
luogo alla possibilità di ovviare ad una caratteristica peculiare
del settore che viene definita come mobilità e sottolinea il carattere
itinerante dei cantieri. (Si fa riferimento alla concreta possibilità
di continuare a frequentare i corsi anche in un’altra Scuola Edile,
qualora esigenze d’impresa od altro lo imponessero).
In secondo luogo, si porta nuovamente in discussione al cospetto
delle Autorità competenti, l’opportunità di avvalersi della possibilità
di rinviare il servizio militare o di una regolamentazione che
sia funzionale al problema dell’interruzione del Patto formativo.
E’ evidente, infatti, dai dati finora a disposizione, la massiccia
perdita di iscrizioni per il secondo anno di corso ed il relativo
mancato completamento del ciclo biennale. E’ comunque logico ritenere
che, oltre alle due appena citate, molte altre siano le ipotesi
riconducibili alla “caduta d’interesse” che non vedono il rinnovarsi
della partecipazione al secondo anno.
Per esempio, una di queste è quella strettamente collegata alle
disposizioni salariali.
Abbiamo visto come in alcune realtà, (vedi regioni a statuto speciale)
la concorrenza di formule alternative per l’ingresso nel mondo
del lavoro come Contratto di Formazione al Lavoro, Collaborazioni
Saltuarie, Contratti a Tempo Determinato, Lavoro Temporaneo/Interinale,
ecc. hanno penalizzato quello che è uno dei maggiori obiettivi
del contratto d’Apprendistato e cioè quello di creare delle professionalità
con profili di livello qualitativo avanzato ed indispensabili
al mercato di riferimento. Va però evidenziato che alla luce della
procedura di infrazione intentata dalla Comunità Europea nei confronti
dell’Italia, l’istituto del Contratto di Formazione al Lavoro,
causa la minore intensità di agevolazioni prevedibile e dovrebbe
essere progressivamente soppiantato dal Contratto d’Apprendistato.
In tal senso, bisogna però evidenziare come a livello di normazione
contrattuale le OO. SS. siano ancora piuttosto restie ad agevolare
la più ampia applicazione di contratti di tipo flessibile, riducendo
attualmente le potenzialità che un istituto come l’Apprendistato
può esprimere per le imprese e i lavoratori.
Qualche problema si riscontra nella gestione dell’inserimento
lavorativo che fa riferimento alla Buona Prassi numero 3.
Anche i maggiori guadagni ottenibili da altre occupazioni a carattere
stagionale e con remote possibilità di sviluppo e carriera si
sono rivelate degli ottimi antagonisti al completamento del ciclo
biennale. Si comincia il corso in attesa di qualcosa di meglio?
O di immediatamente gratificante? Sorge qui un dubbio sulla durata
e l’articolazione prevista per il ciclo che non incontra i ritmi
degli iscritti.
In riferimento alla Buona Prassi n° 8 (Il modello formativo deve
essere nazionale ed europeo) e considerata realizzabile la nascita
di un sistema nazionale per la formazione d’Apprendistato, la
questione stimolante riguarda l’apertura ad un riconoscimento
delle competenze acquisite a livello europeo. E’ ormai evidente
che attualmente l’emigrazione non è da intendersi più solo come
quel fenomeno che interessa i confini della nostra nazione. Oggigiorno
registriamo il continuo arrivo di basse professionalità provenienti
da paesi extracomunitari che in alcuni casi utilizzano la nostra
penisola come pista di lancio verso altri paesi europei. Assistiamo
infatti a quello che potrebbe essere paragonato ad una prima fase
di “rullaggio dei motori” al sud, una “rincorsa di affinamento”
al nord ed un successivo “decollo” verso il paese dell’Unione
Europea che nel dato momento storico offre maggiori opportunità.
E’ indiscutibile come, una regolamentazione per mezzo di un sistema
di accreditamento comunitario dei Centri di F., che come abbiamo
visto è peraltro già previsto per marzo 2003 a livello nazionale,
ed una conseguente sistematizzazione di crediti formativi come
quando si fa riferimento al Libretto formativo, contribuiscano
a quanto accennato nella Buona Prassi n° 4 (Seguire la storia
lavorativa dei giovani formati).
La recente comunicazione della Commissione Europea agli Stati
membri richiama espressamente al confronto in materia di obiettivi
per la competitività dell’Industria delle costruzioni. Inoltre,
intraprendere iniziative di questo tipo contribuirebbe anche al
conseguimento di effetti che interessano altri aspetti. Per esempio
si potrebbe registrare:
|
un’influenza positiva sulle rappresentazioni
sociali relative al settore |
|
una facilitazione del rispetto
delle norme vigenti, specialmente in materia di sicurezza |
|
una regolamentazione dei flussi
relativi all’impiego del personale (e conseguente “salute”
delle imprese stesse) |
|
una conseguente ricaduta positiva
su fenomeni di devianza |
|
una legittimazione delle imprese
stesse. |
Da non sottovalutare, inoltre, è il fatto
che in un’organizzazione così concepita anche il contributo di
cittadini non europei verrebbe ad acquisire un riconoscimento
finora caratterizzato da sentimenti ambivalenti che ha più volte
creato dissapori e disarmonie.
Secondo quanto finora esposto e sempre in un’ottica
di comunione d’interessi tra le parti che interagiscono, le soluzioni
per il conseguimento di buoni risultati vengono ora approcciati
ad un livello più alto. Ecco che, quanto predisposto dal legislatore
nell’agosto ’99 all’indirizzo delle imprese, viene aggiornato
nel 28 febbraio 2000 con una componente chiave che va ad inserirsi
nella relazione della triade Apprendista, Impresa e Centro di
Formazione. Viene istituzionalizzato il ruolo del tutor aziendale.
Questa figura è la chiave di volta che viene chiamata ad assolvere
dei fondamentali compiti di raccordo tra le tre parti. Soprattutto,
sarà fondamentale la maniera in cui in più riprese dovrà gestire
il giovane apprendista, il suo sviluppo e il patto tra quest’ultimo
e chi fornisce la formazione in aula. Il suo intervento sarà principalmente
rivolto alla massimizzazione della resa ed è da considerarsi decisivo
nelle scelte di alternanza tra aula e cantiere. Un confronto costante
con il tutor del Centro di Formazione sarà d’obbligo nell’organizzazione
dei momenti formativi, nella loro durata, nella proposta dei vari
moduli formativi, per tracciare un primo profilo di sviluppo di
carriera e nella personalizzazione ad hoc qualora ne sorgesse
l’esigenza. E’ evidente il peso e l’importanza di tale figura
anche nella definizione delle Buone Prassi. Ma il maggior valore
aggiunto se ne ricaverebbe sfruttandone le capacità relazionali.
Infatti, il configurarsi di un ruolo con dei mandati precisi all’interno
di un organismo interagente può arricchire le sinergie. Impresa
e Centri di Formazione al momento di un confronto con OO.SS.,
EE.PP. ed EE.RR. mieterebbero maggiori risultati che si rifletterebbero
anche nei riguardi delle restanti istituzioni. Si giungerebbe
così con un più vasto consenso ed anche le figure così importanti,
specialmente nel caso delle piccole imprese, come i Consulenti
del Lavoro ed i Commercialisti, incentiverebbero la partecipazione
e coronerebbero la trasformazione a regime del Progetto Sperimentale.
Un aspetto non trascurabile ed adducibile alla figura di tutor
aziendale è quello di garante per la costruzione di basi per l’utilizzo
della formazione continua. Si può, infatti immaginare che risulti
più agevole a chi opera direttamente e sul campo seguire i fabbisogni
di professionalità durante lassi di tempo anche lunghi.
Un’esigenza sottolineata da alcune realtà locali che hanno trovato
difficoltà nella promozione è appunto quella di voler dedicare
uno spazio più rilevante alle strategie comunicative con l’esterno.
A questo proposito, l’Isfol ci riferisce di ingenti risorse economiche
già stanziate e da destinare.
Si potrebbe a questo proposito fare delle ipotesi su più di un
prodotto che sia il frutto delle sinergie poc’anzi menzionate.
Sicuramente un certo beneficio sarebbe prevedibile dal rafforzamento
della rete dei vari C.d.F., che in questo caso svolgerebbero anche
compiti di Agenzie per la formazione. Per la promozione ci si
potrebbe avvalere della condivisione a livello nazionale di un
logo di appartenenza. Inoltre, un eventuale utilizzo mirato e
ragionato dei mass-media, sia come supporto per la pubblicizzazione
delle novità e dei vantaggi proposti dalla Riforma sull’Apprendistato,
sia per una migliore qualità nell’intercettazione dei potenziali
utenti del programma proposto, riserverebbe delle gradite sorprese.
Considerando il destinatario del messaggio, e cioè il giovane
apprendista, la collaborazione con i vari sportelli già presenti
sul territorio (Informagiovani, Centri Territoriali Permanenti,
CILO….) ed i luoghi di aggregazione giovanile come quelli solitamente
adibiti per lo svago, potrebbero rivelarsi degli ottimi alleati
per le strategie di marketing e comunicazione. Lo sviluppo di
quest’area d’intervento, ci viene suggerita dai primi risultati
ottenuti. E’ più che evidente la difficoltà dell’attivazione dei
programmi formativi specialmente quelli rivolti all’indirizzo
degli impiegati. Questa considerazione, se adeguatamente sommata
a quella relativa alla presenza femminile nel settore, ci suggerisce
un’interessante bacino d’utenza che ha già fatto valere i propri
diritti imponendosi in altre culture atavicamente dominate e precluse
dalla presenza maschile. C’è da considerare anche il paradosso
che vede maggiormente flessibili ed adattabili, in termini di
tempo, questo tipo di corsi rispetto a quello per operai. Sono
infatti da tenere in debito conto le condizioni che predispongono
all’apprendimento, intese anche come rispetto dei bioritmi e delle
attività da svolgere nell’arco della giornata.
|